Tag: Cultura

El Zàngano

El Zàngano

Numerose sono le leggende che si tramandano in Venezuela e in Sudamerica, dove la cultura popolare è ancora molto viva, soprattutto nei vilaggi più isolati. Quella del Zàngano è davvero curiosa. Riporto qui una descrizione di questo essere, secondo la tradizione dei villaggi andini della zona di Mèrida.

E’ considerato un essere maligno con poteri magici, che gli permettono di trasformarsi in una figura semi-mitica o semi-umana. E’ la controparte maschile della Bruja (che svolge più o meno le stesse funzioni ma che attacca gli individui di sesso maschile). Si dice abiti nei pozzi d’acqua e che attacchi le donne assumendo le sembianze di diversi animali.  Fa parte della famiglia degli Arcos (deì della creazione e della distruzione, capaci di provocare e guarire le malattie) oppure che sia un potente Brujo, quindi un essere umano, capace di visitare l’inferno quando lo desidera. Tra le sue trasformazioni in animale si annovera il cane, il gatto e il maiale. Quando perseguita una donna e viene rifiutato è solito farle dispetti, come collocare sterco di asino nel cibo o ammazzarla a bastonate.

Esistono due tipi di Zàngano, che si differenziano nelle azioni e nei poteri, e vengono chiamati o Terrestri (Zàngano terrenal) o Diabolici (Zàngano diabòlico):

Zàngano terrenal: è un umano che conosce le arti magiche e vive nei villagi a contatto con la popolazione. Si dice possa arrivare a volare, rendersi invisibile o assumere qualsiasi forma.

Zàngano diabólico: è uno spirito maligno che attacca le sue vittime sotto forma di uomo nero o rosso e senza che  queste riescano a vedergli la faccia. Ha anche la capacità di trasformarsi in cane, gatto, scimmia, pipistrello, o maiale di colore nero, che espelle fiamme dagli occhi e dall’ano (!).

Insidia sessualmente le donne di cui si innamora, con un comportamento violento, colpendole, pizzicandole e mordendole. Durante il giorno molesta le vittime orinando loro addosso o gettandole in terra in corrispondenza di sterco di animali. I dispetti del Zàngano possono estendersi anche ad altri membri della famiglia, solitamente i figli delle vittime. Le donne attaccate dal Zàngano diabolico presentano sintomi come allucinazioni, febbre, dolori di pancia, vomito e alcune bruciature o morsi attraverso i quali lo spirito succhia il sangue della vittima fino a ucciderla.

Al di là del suo contenuto mitico, questa leggenda deve anche avere un risvolto pratico: immaginate un uomo che abbia passato la notte fuori dal villaggio e al suo rientro trovi la moglie cosparsa di succhiotti, morsi e lividi. Quale scusa migliore per la povera vittima che raccontare che ha ricevuto la visita del Zàngalo!?

Ceviche a Los Roques

Ceviche a Los Roques

Tra le delizie culinarie che si possono gustare a Los Roques merita un posto d’onore il Ceviche. Questo piatto a base di pesce marinato nel limone, da servire come aperitivo con gallette salate o come secondo piatto,  è tipico di molte zone del Sud America e del Pacifico. In questo post vi riporto come ho imparato a cucinarlo a Los Roques a bordo del veliero Bicho.

Ingredienti per 6 persone:

– 600 gr. di filetto di pesce

– 3 / 4 lime verdi a seconda delle dimensioni

– 5 peperoncini dolci o piccanti a piacimento (Aji venezuelano)

– Porro o cipolla o aglio

In Aggiunta a piacimento: olio extravergine di oliva, sale, pepe, salsa di soya.

Preparazione:

Sfilettare e togliere la pelle del pesce appena pescato (se vi trovate in barca) cercando di estrarre un filetto il più spesso possibile. Ideali per questo piatto sono il Barracuda che ha un carne molto compatta e deliziosa, il Carite (Scomberomorus maculatus) con la sua carne, bianca e il Tonno con la saporita carne rossa, ma anche molluschi come la Quigua e il Botuto (ricordo che è vietata la cattura in tutto il territorio venezuelano).

Con un coltello ben affilato tagliare sottili scaglie di carne dalla parte spessa del filetto e disporle in un vassoio piano ma con i bordi rialzati. Tritare finemente il peperoncino e l’alliaceo desiderato (Porro, cipolla, aglio). Io prediligo il Porro, ma sono molto validi anche l’aglio molto fresco e la cipolla. Disporre questo trito uniformemente sulle scaglie di carne.

A questo punto spremere il succo lime direttamente sul pesce e lasciare qualche minuto a marinare. L’effetto del succo del lime sarà quello di “cucinare” la carne fino a renderla bianca e di mitigare il sapore del condimento. La quantità di lime e il tempo di marinatura sono da scegliere in base al proprio gradimento in fatto di pesce crudo. Per gli amanti del genere sarà sufficiente una spruzzata di lime e una marinatura di una decina di minuti. Per i meno avvezzi al sapore del pesce crudo si consiglia abbondante lime e almeno trenta minuti di riposo, per lasciare che la carne si cucini.

Poco prima di servire, condire a piacimento con olio extravergine di oliva o salsa di soya. Correggere il sapore con sale e pepe.

Oggi 18 Giugno 2010 è morto Josè Saramago: grazie Josè e buon viaggio…

Oggi 18 Giugno 2010 è morto Josè Saramago: grazie Josè e buon viaggio…

Un ricordo dalle sue parole:

Ho imparato in questo mestiere che chi comanda non solo non si ferma davanti a ciò che noi definiamo assurdità, ma se ne serve per intorpidire le coscienze e annullare la ragione.

Saggio sulla lucidità


Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito.

Viaggio in Portogallo

[Su Silvio Berlusconi] Non vedo quale altro nome potrei dargli. Una cosa pericolosamente simile a un essere umano, una cosa che che dà feste, organizza orge e comanda un paese chiamato Italia. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte del paese di Verdi se un vomito profondo non riesce a strapparlo dalla coscienza degli italiani prima che il veleno finisca per corrodergli le vene e distruggere il cuore di una delle più ricche culture europee.

La cosa Berlusconi, El País, 7 giugno 2009

Trovarsi d’accordo non sempre significa condividere una ragione, la cosa più abituale è che un gruppo di persone si riuniscano all’ombra di un’opinione come se fosse un parapioggia.

L’uomo duplicato


Arriva sempre un momento in cui non c’è altro da fare che rischiare
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Cecità

Se il futuro non esiste…

Se il futuro non esiste…

Avvertenze per il lettore:

Il seguente post contiene riflessioni sulla vita di difficile decifratura, trattate con esaustività parziale, che possono generare più confusione che chiarezza. Astenersi dalla lettura in casi di scarsità di tempo, limitata attenzione o in entrambi i casi.

“Ciascuno esamini i propri pensieri. Troverà che sono tutti concentrati nel passato o nell’avvenire. Non pensiamo quasi per niente al presente, e se ci pensiamo è solo in funzione di predisporre il futuro.
Il presente non costituisce mai il nostro fine. Passato e presente sono mezzi, solo l’avvenire è il nostro fine. Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e preparandoci sempre a essere felici è inevitabile che non lo siamo mai…”
Blaise Pascal

Se prendiamo per vera l’opinione che il passato gia’ non e’ e che il futuro ancora non e’ (si poteva certo formulare in un italiano migliore, spero il lettore comprenda e perdoni) non rimane che il presente, hic et nunc, quello che i sapienti individuano come il momento della verita’.

Vivi il presente… Gia’… facile a dirsi. Vivi ogni giorno come fosse l’ultimo. Questa prospettiva sembra sposare l’idea di un “essere in divenire” come la pensava Eraclito, piuttosto che l’idea di immortalità e immobilità dell’essere concepita da  Parmenide (e dimostrata dai paradossi del discepolo Zenone). La mia ignoranza in tema di filosofia classica mi tiene all’oscuro (e qui il lettore mi aiuti) dell’esistenza di pensatori che abbiano risolto brillantemente tale dilemma, cioè se gli esseri umani siano in grado di arrivare a una conoscenza di sè abbastanza stabile e uniforme tale da poter di fornire valide indicazioni stradali a tutti (o imporre un modello “corretto” ai sottoposti) o se ogni vita è unica e portatrice di nuove conoscenze (e qui le regole e le norme perdono un pò del loro potere). Ma non è questo il tema di cui voglio scrivere, anche se  fornisce una scoppiettante introduzione.

Tornando al vivere oggi vs. pianificare il futuro (inesistente vista la premessa), ho negli ultimi tempi potuto conoscere più da vicino quell’aspetto del vivere il presente che si chiama vivere alla giornata. Si tratta forse di una versione “sudamericanizzata” della questione che certo ha evidenti limitazioni (soprattutto ai fini previdenziali e di costruzione di una vita sicura), alcuni vantaggi e molti nemici nella parte più vecchia del pianeta, quella che grazie ad armi, acciaio e malattie si è sviluppata più in fretta e più ferocemente di tutti gli altri. E’ da lì che provengo, ed è da questo che mi sono momentaneamente allontanato, anche se le mie aspettative nei confronti delle altre persone seguano ancora i valori tipici di tale cultura.

Provengo dalla cultura del mutuo e della casa di proprietà, dell’INPS, del “se ti impegni oggi raccoglierari i tuoi frutti domani”, del “quello è proprio nato per fare il medico/ingegnere/muratore/panettiere” e del “senza soldi non vali niente”. Insomma, la vecchia storia del Regno dei Cieli. Una società dove tutta una serie di norme tradizionali, tramandate di generazione in generazione, guidano all’impostazione della propria vita. Queste conoscenze tradizionali sono costruite su saperi condivisi e tramandati, basate su necessità sociali e organizzative, con una spruzzata di cultura del profitto e del successo per dare quel pizzico di sfida e motivazione agonistica.

In questo preciso istante mi trovo in una condizione di distanza geografica ed esistenziale, di identità incerta, nella quale le succitate norme non mi sono di utilità pratica, se non per deboli comparazioni. Non ho ancora elementi per operare una scelta, nè in favore di una delle opzioni, nè ancora ho individuato un approccio che costituisca una possibile sintesi. Intanto il tempo passa, per quanto viva come il lettore sempre nel presente.

Qualcuno mi ha detto che se continuo con questa vita potrei diventare il classico scappato di casa, che insieme alle popolazioni sudamericane costituisce un esempio in carne ed ossa del vivere il presente. Ne ho incontrati di scappati di casa. A parte qualche caso al limite dell’indigenza, mi sono apparsi tutti abbastanza in gamba, quasi geniali. Il mare è uno di quei luoghi che attraggono tali individui, a volte qualcuno se lo prende pure (anche se statisticamente la frequenza è minore rispetto agli incidenti tipici delle realtà civilizzate e sovrappopolate), ma certo non ha l’esclusività.

Capaci, disponibili ad aiutare, per certi versi unici, coraggiosi e un pò folli, solitari ma proprio per questo aperti all’incontro. Così mi appaiono al primo contatto gli scappati di casa. Ma subito il mio sistema culturale e i miei studi in psicologia mi suggeriscono che dietro a queste fughe dev’esserci una qualche sofferenza, qualche buco da colmare, storie terribili alle spalle, addirittura una colpa. Altrimenti non si spiega il perchè uscire dai binari sociali, visto che il permanervi è la norma. E per parallelismo comincio a sospettare di avercela pure io qualche tara, una ferita, almeno in fieri, e che devo trovare una soluzione prima che sia troppo tardi. Un obiettivo, o vari perchè è difficile che uno solo soddisfi la complessità che uno si porta dentro.

Al momento di obiettivi che guidino il susseguirsi dei giorni verso una direzione finalizzata proprio non ce ne sono. Ogni giorno cambia mettendo sul tavolo carte nuove, occupazioni varie ed eventuali pretendono la mia attenzione. E’ qui che si gioca la battaglia del presente, con le visioni ammalianti o terrificanti del futuro e le corazze o i limiti del passato,. Ci sono progetti sicuramente desiderati ma che mancano di materie prime fondamentali al momento non disponibili, oppure progetti folli che allontanano più che avvicinare alla comunità di riferimento (e il lettore sicuramente ne è una parte).

Parlare a qualcuno di un progetto folle, di un desiderio “proibito”, di un’occasione di cambiamento è tremendamente frustrante.  Anche i più aperti mentalmente (quelli che non ti mettono ostacoli davanti appena apri bocca) ti ascoltano rapiti, ti offrono la loro intelligenza e know-how, per un pezzo sognano con te. Però alla fine ti dicono: io non lo farei mai, vivere senza televisione!?, ci hai pensato a quando sarai vecchio? e i tuoi figli?

Sentirsi come una banderuola spinta dai venti del possibile è una sensazione che attiva l’immaginario, fa sognare, insomma da tinte forti alle emozioni. Ma così come si infiammano, le emozioni sono capaci di spegnersi, di virare verso tinte cupe  e di rimanere in uno stato di negatività fino al prossimo giro di giostra, alla prossima occasione. Ma se la strada è ben tracciata, il viaggio pianificato e il tempo distribuito nelle attività routinarie, che spazio possiamo dare all’occasione?

L’etimologia del sostantivo occasione (da Ob- innanzi, contro e cìdere, cadere), fa pensare qualcosa che ti cade davanti o su cui proprio inciampi.  Ricorda anche l’atto di chinarsi per raccogliere un oggetto da terra (cogliere un’occasione). Per compiere questo gesto è necessario un surplus di tempo e quando il cammino è segnato da una’agenda serrata una pausa per fermarsi e raccogliere potrebbe compromettere i piani futuri. Figuriamoci poi seguire quello che l’occasione ci dice, dal momento che potrebbe portarci a percorrere un sentiero del tutto diverso e sconosciuto.

Per questo forse il detto il tempo è denaro è male interpretato. Forse il tempo vale più del denaro, e sacrificare denaro per ottenere tempo non mi sembra un’opzione che vada per la maggiore, c’è il rischio di non riuscire a costruire quanto progettato in precedenza, rischiando di perdere l’investimento fatto. Ma se la congiuntura economica presente ci dice che la povertà è più che un’opzione (almeno per quelli della mia generazione), perchè non dedicare più sforzi per ottenere tempo e quindi occasioni?

Prendersi del tempo per pensare. Non volevo arrivare a questo, volevo scrivere delle difficoltà nell’impostare la propria vita se si decide di vivere il presente, il qui e ora, ma l’unico risultato è stato proprio quello di prendermi del tempo per pensare. Ne avevo di tempo (sacrificato ad altre “occasioni” e doveri), quindi ne ho approfittato. Se il lettore è arrivato a questo punto un pò l’ha fatto, affrontando un costo in tempo e attenzone e senza ricavare risposte esaustive. Dedicare tempo e attenzione per attività non in agenda è purtroppo un’attività scarsamente ricompensata. Ci serve? Spero di sì, anche per poter dire alla mia coscienza che non ho perso tempo inutilmente.

Seni

Seni

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E’ curioso che il primo argomento del quale scrivo appena tornato in territorio venezuelano siano le mammelle delle donne venezuelane.

Curioso ma non certo fuori luogo, dal momento che è una cosa che balza subito all’occhio, soprattutto a un occhio maschile.  Si rimane inevitabilmente colpiti dalle dimensioni dei seni delle venezuelane, e più di una persona ha confermato questa mia visione.

Quali che siano corporatura, l’insieme dei tratti somatici o il colore della pelle della venezuelana in questione, i suoi seni si presentano generosi, queen size si potrebbe dire. Persino gli abiti femminili esposti nelle vetrine dei negozi si adagiano su manichini maggiorati, ulteriore prova che il fenomeno non è solo riconducibile ai desideri erotici di un maschio in visita nel paese.

Col tempo ho anche scoperto come questa abbondanza nasconda interventi che di naturale hanno ben poco. Oltre a push-up estremi e a protesi da inserire nelle coppe del reggiseno, gli interventi di chirurgia estetica per la maggiorazione del seno sono molto diffusi e piuttosto economici. Per un intervento si parte da 800 euro circa, più un certo investimento nel tempo per le visite periodiche di controllo, proprio come nel caso del tagliando dell’autovettura. Si tratta di un fenomeno che ormai non ha confini, ma che ha trovato terreno fertile in queste regioni, in particolare in Colmbia, paese di origine di un serial scandalo dal titolo “Sin tetas no hay paraìso”. La fiction è ispirata a un romanzo di Gustavo Bolivar, nel quale si narra di una adolescente con poco seno cresce in un quartiere marginale. La storia parla di come le ragazze seducano i narcotrafficanti per uscire dalla povertà, e siano quindi disposte a tutto, specialmente modifiche chirurgiche, per ragiungere il riscatto economico. La fiction approderà anche in Italia nel 2010, dove sarà adattata al nostro mercato culturale televisivo.

Si potrebbe a questo punto affermare come le dimensioni del seno in Venezuela rispecchino una dinamica Natura/Cultura che ha come risultato una popolazione elevata di donne maggiorate. Quale peso attribuire ai due poli di questo connubio è tutto da stabilire. Da una parte la variabilità genetica presente in Venezuela, frutto di vari flussi migratori, contribuisce in larga misura alla nascita e allo svilupp di splendide figliole, conosciute nei concorsi di bellezza di tutto il mondo, ma avvistabili anche in una qualsiasi strada delle città. E’ innegabile che anche il tocco del chirurgo contribuisce notevolmente alla creazione, e forse anche alla standardizzazione, della bellezza femminile.

Venezuela #1

Venezuela #1

Venezuela, mancanza di padre amoroso.

Questa è la lapidaria definizione che Fernando mi diede una sera, seduti nel pozzetto del Bicho, intenti a riflettere su argomenti che riguardano la vita degli uomini e delle donne in senso ampio. Confesso che la definizione, supportata da numerosi esempi che la vita quotidiana di questo paese mi mette davanti, mi colpisce e mi sembra molto azzeccata.

Qui è frequente incontrare giovani madri che tirano su i propri figli in solitudine, e spesso comn l’ausilio della nonna matera.  I padri hanno figli con donne diverse, e spesso non vivono con loro, evitando di costituire un nucleo famigliare che vive insieme. Ovviamente conosco casi che disconfermano la regola, ma questa tendenza è molto evidente in tutto il Venezuela e forse in Latino America.

La figura paterna è difatto assente o lontana. Ferventi psicanalisti potrebbero elaborare puntuali riflessioni sul tema, mentre qui io mi limito a registrare il fenomeno come una caratteristica locale, quasi un costume, un tratto culturale.

Abituato come sono al modello di famiglia italiano, anch’esso oramai poco più di uno stereotipo, confesso che vedere queste cose mi spiazza. Eppure il “modello venezuelano” è reale e praticato, e non mi sembra di vedere persone disperate o infelici, o per lo meno non più di quante non se ne vedano oggi in Italia.

Da un lato, in Italia, mi sembra ci sia il culto della “sacralità della Famiglia”, un valore imposto più che praticato, quasi un dovere che rischia di soffocare lo slancio vitale della popolazione; dall’altro lato dell’oceano assisto a una procreazione irresponsabile, con una mancanza di accudimento che impedisce quella stabilità necessaria alla creazione di prosperità e ricchezza. Da una parte ho un paese d’origine, l’Italia, colmo di cultura e ricchezze ma vecchio e privo di energia; dall’altro il Venezuela, pieno di vitalità e calore ma incapace di assumere forme stabili, anche e soprattutto politicamente.

Immobilità opposta a dispersione, gli opposti inconciliabili che osservo da queste isole e da questo particolare punto di vista. C’è chi porta tutto sempre e solo al proprio Mulino (per grande o piccolo che sia ha sempre confini netti) in una sorta di solidarietà mafiosa, e chi invece non accumula e accudisce ma disperde, vivendo alla giornata, perchè in fin dei conti un mulino non ce l’ha.

Per il momento mi muovo sugli opposti, sui casi limite, sugli stereotipi che mi aiutano a dare un pò di senso a ciò che mi accade e a confrontare due esperienze di vita radicalmente differenti.

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