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Se il futuro non esiste…

Se il futuro non esiste…

Avvertenze per il lettore:

Il seguente post contiene riflessioni sulla vita di difficile decifratura, trattate con esaustività parziale, che possono generare più confusione che chiarezza. Astenersi dalla lettura in casi di scarsità di tempo, limitata attenzione o in entrambi i casi.

“Ciascuno esamini i propri pensieri. Troverà che sono tutti concentrati nel passato o nell’avvenire. Non pensiamo quasi per niente al presente, e se ci pensiamo è solo in funzione di predisporre il futuro.
Il presente non costituisce mai il nostro fine. Passato e presente sono mezzi, solo l’avvenire è il nostro fine. Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e preparandoci sempre a essere felici è inevitabile che non lo siamo mai…”
Blaise Pascal

Se prendiamo per vera l’opinione che il passato gia’ non e’ e che il futuro ancora non e’ (si poteva certo formulare in un italiano migliore, spero il lettore comprenda e perdoni) non rimane che il presente, hic et nunc, quello che i sapienti individuano come il momento della verita’.

Vivi il presente… Gia’… facile a dirsi. Vivi ogni giorno come fosse l’ultimo. Questa prospettiva sembra sposare l’idea di un “essere in divenire” come la pensava Eraclito, piuttosto che l’idea di immortalità e immobilità dell’essere concepita da  Parmenide (e dimostrata dai paradossi del discepolo Zenone). La mia ignoranza in tema di filosofia classica mi tiene all’oscuro (e qui il lettore mi aiuti) dell’esistenza di pensatori che abbiano risolto brillantemente tale dilemma, cioè se gli esseri umani siano in grado di arrivare a una conoscenza di sè abbastanza stabile e uniforme tale da poter di fornire valide indicazioni stradali a tutti (o imporre un modello “corretto” ai sottoposti) o se ogni vita è unica e portatrice di nuove conoscenze (e qui le regole e le norme perdono un pò del loro potere). Ma non è questo il tema di cui voglio scrivere, anche se  fornisce una scoppiettante introduzione.

Tornando al vivere oggi vs. pianificare il futuro (inesistente vista la premessa), ho negli ultimi tempi potuto conoscere più da vicino quell’aspetto del vivere il presente che si chiama vivere alla giornata. Si tratta forse di una versione “sudamericanizzata” della questione che certo ha evidenti limitazioni (soprattutto ai fini previdenziali e di costruzione di una vita sicura), alcuni vantaggi e molti nemici nella parte più vecchia del pianeta, quella che grazie ad armi, acciaio e malattie si è sviluppata più in fretta e più ferocemente di tutti gli altri. E’ da lì che provengo, ed è da questo che mi sono momentaneamente allontanato, anche se le mie aspettative nei confronti delle altre persone seguano ancora i valori tipici di tale cultura.

Provengo dalla cultura del mutuo e della casa di proprietà, dell’INPS, del “se ti impegni oggi raccoglierari i tuoi frutti domani”, del “quello è proprio nato per fare il medico/ingegnere/muratore/panettiere” e del “senza soldi non vali niente”. Insomma, la vecchia storia del Regno dei Cieli. Una società dove tutta una serie di norme tradizionali, tramandate di generazione in generazione, guidano all’impostazione della propria vita. Queste conoscenze tradizionali sono costruite su saperi condivisi e tramandati, basate su necessità sociali e organizzative, con una spruzzata di cultura del profitto e del successo per dare quel pizzico di sfida e motivazione agonistica.

In questo preciso istante mi trovo in una condizione di distanza geografica ed esistenziale, di identità incerta, nella quale le succitate norme non mi sono di utilità pratica, se non per deboli comparazioni. Non ho ancora elementi per operare una scelta, nè in favore di una delle opzioni, nè ancora ho individuato un approccio che costituisca una possibile sintesi. Intanto il tempo passa, per quanto viva come il lettore sempre nel presente.

Qualcuno mi ha detto che se continuo con questa vita potrei diventare il classico scappato di casa, che insieme alle popolazioni sudamericane costituisce un esempio in carne ed ossa del vivere il presente. Ne ho incontrati di scappati di casa. A parte qualche caso al limite dell’indigenza, mi sono apparsi tutti abbastanza in gamba, quasi geniali. Il mare è uno di quei luoghi che attraggono tali individui, a volte qualcuno se lo prende pure (anche se statisticamente la frequenza è minore rispetto agli incidenti tipici delle realtà civilizzate e sovrappopolate), ma certo non ha l’esclusività.

Capaci, disponibili ad aiutare, per certi versi unici, coraggiosi e un pò folli, solitari ma proprio per questo aperti all’incontro. Così mi appaiono al primo contatto gli scappati di casa. Ma subito il mio sistema culturale e i miei studi in psicologia mi suggeriscono che dietro a queste fughe dev’esserci una qualche sofferenza, qualche buco da colmare, storie terribili alle spalle, addirittura una colpa. Altrimenti non si spiega il perchè uscire dai binari sociali, visto che il permanervi è la norma. E per parallelismo comincio a sospettare di avercela pure io qualche tara, una ferita, almeno in fieri, e che devo trovare una soluzione prima che sia troppo tardi. Un obiettivo, o vari perchè è difficile che uno solo soddisfi la complessità che uno si porta dentro.

Al momento di obiettivi che guidino il susseguirsi dei giorni verso una direzione finalizzata proprio non ce ne sono. Ogni giorno cambia mettendo sul tavolo carte nuove, occupazioni varie ed eventuali pretendono la mia attenzione. E’ qui che si gioca la battaglia del presente, con le visioni ammalianti o terrificanti del futuro e le corazze o i limiti del passato,. Ci sono progetti sicuramente desiderati ma che mancano di materie prime fondamentali al momento non disponibili, oppure progetti folli che allontanano più che avvicinare alla comunità di riferimento (e il lettore sicuramente ne è una parte).

Parlare a qualcuno di un progetto folle, di un desiderio “proibito”, di un’occasione di cambiamento è tremendamente frustrante.  Anche i più aperti mentalmente (quelli che non ti mettono ostacoli davanti appena apri bocca) ti ascoltano rapiti, ti offrono la loro intelligenza e know-how, per un pezzo sognano con te. Però alla fine ti dicono: io non lo farei mai, vivere senza televisione!?, ci hai pensato a quando sarai vecchio? e i tuoi figli?

Sentirsi come una banderuola spinta dai venti del possibile è una sensazione che attiva l’immaginario, fa sognare, insomma da tinte forti alle emozioni. Ma così come si infiammano, le emozioni sono capaci di spegnersi, di virare verso tinte cupe  e di rimanere in uno stato di negatività fino al prossimo giro di giostra, alla prossima occasione. Ma se la strada è ben tracciata, il viaggio pianificato e il tempo distribuito nelle attività routinarie, che spazio possiamo dare all’occasione?

L’etimologia del sostantivo occasione (da Ob- innanzi, contro e cìdere, cadere), fa pensare qualcosa che ti cade davanti o su cui proprio inciampi.  Ricorda anche l’atto di chinarsi per raccogliere un oggetto da terra (cogliere un’occasione). Per compiere questo gesto è necessario un surplus di tempo e quando il cammino è segnato da una’agenda serrata una pausa per fermarsi e raccogliere potrebbe compromettere i piani futuri. Figuriamoci poi seguire quello che l’occasione ci dice, dal momento che potrebbe portarci a percorrere un sentiero del tutto diverso e sconosciuto.

Per questo forse il detto il tempo è denaro è male interpretato. Forse il tempo vale più del denaro, e sacrificare denaro per ottenere tempo non mi sembra un’opzione che vada per la maggiore, c’è il rischio di non riuscire a costruire quanto progettato in precedenza, rischiando di perdere l’investimento fatto. Ma se la congiuntura economica presente ci dice che la povertà è più che un’opzione (almeno per quelli della mia generazione), perchè non dedicare più sforzi per ottenere tempo e quindi occasioni?

Prendersi del tempo per pensare. Non volevo arrivare a questo, volevo scrivere delle difficoltà nell’impostare la propria vita se si decide di vivere il presente, il qui e ora, ma l’unico risultato è stato proprio quello di prendermi del tempo per pensare. Ne avevo di tempo (sacrificato ad altre “occasioni” e doveri), quindi ne ho approfittato. Se il lettore è arrivato a questo punto un pò l’ha fatto, affrontando un costo in tempo e attenzone e senza ricavare risposte esaustive. Dedicare tempo e attenzione per attività non in agenda è purtroppo un’attività scarsamente ricompensata. Ci serve? Spero di sì, anche per poter dire alla mia coscienza che non ho perso tempo inutilmente.

Los Loches

Los Loches

L’esistenzialismo vissuto è molto più divertente di quello pensato, questa è la criptica sentenza odierna.

Questo luogo in cui mi sono trovato catapultato è ancora indecifrabile ai miei sensi, mi riesce difficile inquadrarlo in una definizione, in un’immagine, in un pensiero. E’ folle, talmente bello che devi prenderlo a piccoli assaggi, devi trincerarti dietro armature d’acciao come quella del ghiacciolo, dietro un ruolo, un atteggiamento.

Quando cammini a piedi scalzi sulla sabbia delle vie di questo borgo caraibico e sei incazzato o pensieroso o felice per un evento inatteso ti fermi un secondo a guardare o ad ascoltare, insomma ti fermi e capisci che il tuo problema, la tua gioia, tu sei solo una briciola infinitesimamente piccola di fronte all’estrema complessità di quello che ti circonda. Non so spiegare perchè quest’idea mi venga in un posto relativamente piccolo e poco popolato, dove non c’è apparentemente nulla di speciale.

E invece qualcosa c’è.  Sono gli scorci che ti appaiono quando giri l’angolo, è il firmamento che si trasforma in uno spettacolo quando va via la luce per l’ennesimo blackout. E’ il fatto che se anche ci sono mille modi per criticare quello che si fa qui e come lo si fa, se meglio peggio, più velocemente, più lentamente, con migliori margini di guadagnano o perdita, il risultato non cambia perchè si tratta di problemi umani del tutto relativi. L’immensità della bellezza fa cadere ogni maschera, ogni pretesa di aver ragione, ogni egoismo lasciando emergere tutto quello che non sappiamo controllare e che chiamiamo follia. Benvenuti a Los Loches!

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