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Diario di un apprendimento #2

Diario di un apprendimento #2

Mi sono occupato di ansie e difficoltà nell’apprendimento degli adulti in un articolo scritto insieme a Dario Forti per Educazione Sentimentale n°13

In quell’articolo abbiamo operato una sistesi e posto alcune riflessioni sulle difficoltà che gli intervistati della ricerca sull’apprendimento ci hanno raccontato, muovendoci in uno spazio allo stesso tempo nuovo e familiare, cercando confronti teorici che ci illuminassero la via.

In un momento un pò delicato della mia formazione, del mio apprendere, mi trovo ora a rispondere a quelle stesse domande che avevo posto a professionisti impegnati in prima persona in un percorso lungo e difficile. In quel caso si trattava dei percorsi della Scuola di Ariele, mentre io oggi sto confrontandomi con dei corsi professionalizzanti di vela. Nonostante le differenze fra i casi trovo vissuti ed emozioni simili. Anche in un apprendimento tecnico come questo, la componente giocata dalla parte emotiva è notevole.

Sto attraversando momenti che giudico difficili. Mi sento ingarbugliato, a tratti stanco. Avrei bisogno di una pausa ma non me la posso permettere, l’esame finale è troppo vicino e sono pervaso da una certa ansia di finire in fretta, dovuta a ragioni economiche e dal desiderio di entrare nel mondo professionale della vela. Servirebbe un tempo di rielaborazione, anche a “mente spenta”, ma sento che non me lo posso permettere. Mi succede anche di essere stanco di parlare inglese. Ormai sono in grado di comprendere e discutere praticamente ogni argomento, e lo sto facendo da più di un mese. Ma a volte mi costa fatica e sento nostalgia di persone che parlano la mia lingua madre.

L’apprendere può sgnificare il più delle volte muoversi da una zona di comfort, del conosciuto e posseduto, verso una scomoda, faticosa zona di confine. Significa spostare il proprio limite, quindi esplorare, affrontare parti ostili di sè e dell’ambiente.

Senza pretese di completezza faccio un elenco di alcuni punti-chiave di queste difficoltà:

  • Zona di comfort: abbandono delle comodità e dei ciò che riesce facile, difficoltà del rimanere sotto stress, fatica psicofisica dell’apprendere in quanto lavoro
  • Gap: distanza tra ciò che si è e ciò che si vuole essere con tutte le distorsioni del caso, onnipotenza e ferite narcisistiche/senso di inadeguatezza, paura della valutazione.
  • Pensare di avere capito: ricadute ed errori, ricerca di scorciatoie e false credenze per paura di sbagliare e di non avere il tempo e le esperienze necessarie a creare automatismi
  • Velocità/Pressione: influenza di deadlines, steps, tabelle di marcia, aspettative personali e degli altri.
Diario di un apprendimento

Diario di un apprendimento

Nel lavoro che svolgevo fino a qualche tempo fa mi veniva spesso chiesto (a volte ero io stesso a desiderarlo) di trovare nuovi strumenti per favorire l’apprendimento delle persone all’interno delle aziende. E’ più di qualche decina d’anni che la psicologia e altre discipline si interrogano sui meccanismi di apprendimento. La società poi, spinta dall’idea di progresso è in cerca di metodologie, dispositivi, tecniche, magie in grado di rendere l’apprendimento, più veloce, più profondo, più economico.

Nel corso dell’ultimo anno, quando cioè ho deciso di fare un’esperienza temporanea in Venezuela, mi sono trovato a fronteggiare davvero un mondo nuovo e ho dovuto apprendere modi per districarmi in quella nuova realtà. Dalla lingua spagnola al funzionamento di un motore diesel, dal kitesurfing alla programmazione degli acquisti di un charter, dai balli caraibici a slamare un pesce dai denti aguzzi, tutto era per me nuovo e mi sono visto costretto ad affrontare nuovi problemi e a sviluppare la capacità per ottenere dei risultati più o meno soddisfacenti (pessimi per quanto riguarda le danze caraibiche). Tutto questo percorso l’ho affrontato da autodidatta, senza cioè nessuno che mi abbia inserito in un percorso strutturato per accelerare o supportare i miei apprendimenti, cercando di carpire da chi mi stava intorno, osservando, leggendo, provando.

Tutto questo dilettantismo ha reso più lunghi e meno efficaci i vari tipi di apprendimenti che mi serviva sviluppare, ma ha anche demolito in me l’idea che per alcuni compiti non si è portati. E mi fa sorgere una domanda: è meglio assecondare le proprie qualità, i propri punti di forza o si possono imparare anche cose per cui “non si è portati”? Nel caso di un ragazzo che si trovi a decidere della propria educazione, mettiamo caso la scelta della scuola superiore o dell’università, questa domanda non è per nulla banale.

Tra meno di una settimana comincerò un percorso strutturato per conseguire un titolo professionale di capitano di yacht a vela fino a 200 tonnellate. Dopo l’esperienza sul Bicho a Los Roques ho capito che la barca e il mare sono ambienti che mi fanno sentire bene e di cui sento la mancanza. Non mi sono mai ritenuto particolarmente portato per questo tipo di vita, perchè le capacità manuali (manutenzione e riparazione in primis) sono un must della professione e io mi trovo ancora allo stadio zero. Però ho deciso che per quanto difficile potrà essere voglio provarci.

Mi troverò di fronte a un percorso impegnativo, fatto di prove di abilità e conoscenze teoriche da dimostrare nel corso di un esame per ottenere il brevetto. Ho deciso questa volta di affidarmi a delle scuole e per questo a breve lascerò l’Italia alla volta di Gibilterra, questa volta per andare a imparare un mestiere nuovo.

Scriverò un diario, cartaceo e speriamo anche digitale, in cui cercherò di tenere le fila di quasi due mesi di scuola. Ironicamente è uno di quegli strumenti che proponevo a volte nelle aule per tenere traccia del percorso e per incoraggiare la riflessione sulle esperienze. E’ uno strumento che in definitiva già uso, sempre in maniera spontanea e poco strutturata come questo blog, ma ora è legato ad un obiettivo specifico.

Anche questa è una delle possibilità che mi da l’isola.

Venezuela #2

Venezuela #2

Per dare un’idea del paese del terzo mondo (con tutto il rispetto) nel quale sono capitato descriverò una piccola attività lavorativa che periodicamente mi trovo ad eseguire per fare in modo che il Veliero che gestisco possa svolgere la sua attività di charter. Si tratta banalmente dell’attività di rifornimento del carburante.

Il motore del Bicho (Beneteau Idylle 15.50)  funziona a gasolio, quello del dinghi (il gommone ausiliario) a benzina, in più per avere i fornelli della cucina funzionanti per fare da mangiare serve gas butano, come in quasi tutte le cucine esistenti. Idrocarburi utilizzati da quasi tutti i motori esistenti e che il Venezuela produce in abbondanza e distribuisce sul suolo nazionale a prezzi ridicoli.

Il trasporto di questi combustibili avviene attraverso delle imbarcazioni che circa 2 volte alla settimana giungono a Los Roques cariche delle preziose risorse, dopo aver affrontato una decina di ore di navigazione dal porto de La Guaira (località portuale di Caracas) . Queste barche, una delle quali è denominata Normandia (si vocifera si tratti di un mezzo che ha operato più di sessant’anni fa nel corso dell’omonimo sbarco), toccano terra in una zona pietrosa dell’isola, deputata ai principali servizi quali l’acqua potabile, l’energia elettrica e lo smaltimento rifiuti (inceneriti a cielo aperto..ndA).

In questo scenario post-bellico, il povero proprietario di barche da diporto (o chi per esso) è costretto a salire sul fidato dinghi, approdare in una spiaggia sporca e pietrosa, aprire il magazzino (se ne ha uno) per tirare fuori i tambores (bidoni di plastica della capacità di 200l) e farli rotolare lungo un tratturo pietroso fino al mezzo di sbarco. Qui contratterà con il capitano della barca e i suoi scagnozzi la quantità che è possibile prelevare, secondo una gerarchia nella quale ci si fa strada a suon di mance, ma dove a spuntarla è comunque la simpatia reciproca. Nonostante i possibili sotterfugi, le attese per il carburante sono piuttosto lunghe perchè la “sete” di idrocarburi affligge l’isola più di altrettanto gravi malattie. Queste attese sono dovute un pò all’indolenza tipica in ogni ruolo e occupazione in questo paese, un pò perchè la rarità dei rifornimenti provoca un’assalto di barcaioli, posadieri, ristoratori e di chi altro soffre per questa tremenda mancanza.

Le operazioni di riempimento dei bidoni si svolgono sul ponte arrugginito di queste chiatte, dove i barcaioli (me compreso) si muovono a piedi nudi, circondati da pericoli di ogni tipo. Devo dire che mi divertono queste attese perchè ho la possibilità di vedere ogni tipo di “assetato” che si affanna per procurarsi la dose necessaria, perchè sul ponte si ride e si scherza e si possono vedere all’opera i favoritismi e gli ostruzionismi del caso.

La parte meno divertente è quando i bidoni, colmi di gasolio e benzina, vengono fatti rotolare prima giù dalla chiatta, e in seguito per lo stesso tratturo pietroso dell’andata, che ovviamente presenta dei tratti di falsopiano decisamente sfavorevoli. Questo sport olimpico ha messo alla dura prova il fisico gracile (da lanciatore di coriandoli, direbbe mia sorella) che mi sono portato dal mio precedente stile di vita e dopo 3 tambores (600kg), ho avuto i pettorali in fiamme per quasi una settimana. Piano piano, con dolore e sudore sto adeguando la mia capacità fisica alle esigenze che questo lavoro richiede in questo angolo del mondo.

L’unica consolazione è che 800l di benzina, 400l di gasolio e 2 bombole di gas costano circa 70 euro, mancia inclusa.

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